Il freddo veniva utilizzato per curare ferite e infiammazioni già migliaia di anni fa ma soltanto nel 1961 venne impiegata per la prima volta la criochirurgia mediante delle criosonde. Viene largamente impiegata in oncologia e nella cura di malattie della pelle. Inizialmente venivano utilizzate delle sonde ad azoto liquido per poi passare a sfruttare l'effetto Joule-Thompson utilizzando gas con un potere refrigerante più basso ma riuscendo a ridurre le dimensioni e aumentando il numero di sonde ottenendo così un miglior controllo sulla procedura chirurgica: congelamento del tessuto di interesse senza danneggiare il tessuto sano.

Il danno tissutale da congelamento è dovuto a due cause. In primo luogo c'è un danno diretto causato dalla formazione di microcristalli di ghiaccio che causano sforzi eccessivi per la parete cellulare, queste cellule muoiono per necrosi. Un secondo effetto è dato dal blocco della micro-circolazione durante tutto lo scongelamento che impedisce alla cellula sia di ricevere nutrienti sia di eliminare i prodotti di scarto e infatti queste cellule andranno in contro a morte per apoptosi. Mentre un congelamento lieve provoca solo una risposta infiammatoria un congelamento più marcato porta da una vera e propria distruzione cellulare e tissutale. La lesione criogenica si caratterizza come una zona centrale necrotica e una periferia dove soltanto parte delle cellule andranno in contro a morte per apoptosi, anche nei giorni successivi lo scongelamento. Nell'area in contatto con i tessuti vivi si osserva poi il processo di riparazione della ferita.

L'efficiacia della criochirurgia è inoltre legata al ciclo congelamento-scongelamento. Si cerca un congelamento più rapido possibile così da portare alla formazione di cristalli di ghiaccio intracellulari (almeno $20-50\text{ °C/min}$) localizzati nell'aria di interesse e lasciando il tessuto sano circostante alla temperatura corporea di 37°C. In clinica, per assicurarsi la morte cellulare si utilizzano temperature $-40\div -50 \text{ °C}$ e le cellule devono rimanere congelate almeno per 5 minuti. Il ciclo di scongelamento invece viene effettuato molto lentamente favorendo la dissoluzione delle molecole, danni strutturali e stress ossidativi. Inoltre, l'interno ciclo viene ripetuto più volte e questo porta ad effetti molto più marcati, fino all'80% in più. In clinica si utilizzano diversi fluidi criogenici quali azoto liquido, argon pressurizzato e ossido nitrico. L'azoto liquido, che ottiene le temeprature più basse possibili ($T_V=-195,8 \text{ °C}$), viene utilizzato in sonde dal diametro minimo di 3mm. Al contrario, gli altri due, possono essere utilizzati in sonde che sfruttano il principio di Joule-Thompson e con un diametro inferiore, quindi meno invasive, tuttavia, presentano un potere congelante minore. A questo si aggiungono le più comuni tecniche di imaging, dagli ultrasuoni alla risonanza magnetica. Quest'ultima è la più utilizzata in quanto fornisce immagini tridimensionali e in tempo reale, inoltre può essere integrata con algoritmi che permettono di risalire al campo di temepratura a partire dai campi magnetici.

È possibile affrontare analiticamente questo problema con la Soluzione di Neumman in cui si determinano i campi di temepratura per fase liquida e fase solida oltre che la posizione del fronte di ghiaccio ( $S(t)$ ). si parte dalle condizioni al contorno in cui si considera il liquido confinato in uno spazio semi-infinito a partire dalla criosonda che dal tempo $t=0$ si trova ad una temperatura $T_{probe}$ inferiore a quella di solidifcazione $T_0=0\text{ °C}$. Il problema si può affrontare in un modello piano ottenendo una formulazione per la fase solida:

$\alpha_s{\partial ^2T_s\over \partial x^3}={\partial T_s\over \partial t}\quad \{0\leq x\leq s(t);\:t>0\} \text{ con } T_l(x,t)=T_{probe}$

E una per la fase liquida:

$\alpha l{\partial ^2 T_l\over \partial x^2}={\partial T_l\over \partial t}\quad \{s(t)\leq x<\infty ;\:t>0\}\text{ con }\lim{x\rightarrow \infty}T_l(x,t)=T_{blood}$

Mentre all'interfaccia $x=s(t)$ ci sarà l'uguguaglianza delle temeprature e vale la soluzione:

$k_s\left.\partial T_s\over \partial x\right.{x=s(t)}-k_l\left.\partial T_l\over \partial x\right|{x=s(t)}=\rho_s L_h{ds\over dt}$ , con $L_h$ calore latente di solidificazione.

Considerando che stiamo analizzando un corpo semi-infinito la soluzione delle temperature è una combinazione lineare di error function $\left[\bold{erf}\left(x\over 2\sqrt{\alpha t}\right)={1\over \sqrt \pi}{\int_{-\infty}^{x\over 2\sqrt{\alpha t} }e^{-\xi^2}d\xi }\right]$. Ovvero il fronte di ghiaccio avanza proporzionalmente alla radice quadrata del tempo mediante una costante di proporzionalità dipendente dalle proprietà del materiale: $s(t)=2\lambda \sqrt{\alpha_S t}$.

Il valore di $\lambda$ è incognito e lo si può trovare, ad esempio, con un metodo iterativo. La temperatura aumenta come una funzione errore fino ai 37°C dove c'è un asintoto. Nella parte congelata segue sempre la funzione di errore ma presenta una discontinuità della tangente a 0°C dovuta proprio alle condizioni al contorno in cui la differenza tra le diffusività termiche (del solido e del liquido) è legata al calore latente.

Si ottiene un risultato simile se il problema viene affrontato in coordinate cilindriche in cui le soluzioni della temepratura saranno combinazioni lienari di un esponenziale integrale $\bold{Ei}\left(-{r^2\over 4\alpha t}\right)=-\int_{r^2\over 4\alpha t}^\infty {e^{-u}\over u}du$. In geometria cilindrica il fronte di ghiaccio si propaga più lentamente che in geometria piana.

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Il crioprobe ad azoto utilizza un ciclo di congelamento di tipo Linde (ed effetto Joule-Thompson) sfruttando tre tubi concentrici. Il tubo più esterno, in cui c'è il vuoto, serve ad isolare termicamente il fluido che passa negli altri tubi. L'azoto è liquido nel tubo centrale fino alla punta dove dei fori di diametro molto piccolo (0,3 mm) permettono all'azoto di evaporare e fuoriuscire attraverso il tubo intermedio. Il diametro totale è di circa 5mm e la temperatura viene regolata regolando la velocità del flusso ottenendo una sfera di ghiaccio fino a 75 volte più grande della sonda.

È stata elaborata un soluzione numerica in Fortran affrontando il raffreddamento ad azoto. Il fattore più importante della modellazione è il fatto che varia la conducibilità termica del tessuto al variare della temperatura: nei tessuti biologici la conducibilità termica è costante a tratti e vista la grande presenza d'acqua è opportuno supporre che ci sia una variazione con la temperatura ($k_l(T)=k_{fl}\left(1+B_l(T-T_f)\right)$ ) proprio come la conducibilità termica dell'acqua. Oltre a questo è necessario anche considerare il contributo della perfusione sanguigna. Per semplificare il problema si considera la temperatura della criosonda costante (oltre che del criofluido). Per la perfusione sanguigna si possono fare due ipotesi:

Si analizza quindi la trasmissione di calore e la conducibilità nel tessuto. La conduzione per la zona di tessuto congelato è descrivibile dall'equazione generale della conduzione: $\rho_l c_{p,l} {\partial T\over \partial t}={1\over r^{ige0} }\left(k_l(T) r^{ige0}{\partial T\over \partial r}\right)+\dot q_g$, valida sia per geometria piana, cilindrica o sferica con $igeo0$ uguale rispettivamente a $0, 1,2$. Il termine di convezione dal calore del sangue dovuto alla perfusione segue l'equazione del calore biologico $\dot q_g=P\rho_b c_b(T_b-T)$ (bio-heat equation di Pennes) mentre la perfusione P è una funzione della differenza di temperatura $P=G_v{T-T_f\over T_b-T_f}$ (in alternativa la si può supporre costante nel fluido e nulla nel congelamento). Si può affrontare allora il problema in geometria piana considerando il bilancio energetico nel fluido e nel tessuto congelato dove invece non c'è più perfusione. Tra i due la zona di separazione in cui vale il bilancio legato all'avanzamento del fronte di ghiaccio.

Si possono considerare quindi quattro casi: